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Presentazione della «Prima riforma della dialettica hegeliana»

PRESENTAZIONE DEL VOLUME

C. FABRO, La prima riforma della dialettica hegeliana, a cura di Christian Ferraro, Editrice del Verbo Incarnato, Segni 2004. pp. 255.

1. Cenni sulla storia dell’inedito

Cari amici, carissimi amici, dopo la sua scomparsa, il nostro caro p. Fabro ci diede due sorprese: il volume sugli Aforismi di filosofia esistenziale – edito col nome di Libro dell’esistenza e della libertà vagabonda –, e poi il commento al padrenostro. La sua fiamma intellettuale non si è però ancora spenta: p. Fabro continua ancor oggi a darci delle gratissime sorprese. Come questa, appunto, cioè la possibilità di leggere un suo inedito sulla dialettica hegeliana. Un lavoro stupendo e profondissimo. 

Per noi è stata certamente una grata sorpresa quando i padri stimmatini di Verona ci hanno dato il testo dattilografato che era andato alla stampa e che conteneva le correzioni a mano e ultime aggiunte fatte da Fabro stesso. Ed è questa la prima osservazione che vorrei fare. Il testo ebbe un fallito tentativo di essere stampato… Perché, infatti, p. Fabro volle decisamente editare il volume. 

Come viene fuori dal carteggio con la casa editrice e la persona intermediaria – un’alta personalità del mondo ecclesiastico con la cui annuenza ed appoggio Fabro inviò l’opera –, una volta consegnata alla casa editrice per il visto, Fabro rimase in attesa durante quasi un anno, senza essere riuscito ad avere notizie, fino a che in un certo momento telefonò ed ebbe per risposta che l’opera era ancora sotto esame. Leggendo fra le righe la mancanza di volontà di pubblicarla, cosa che certamente non si aspettava, il Nostro si sentì nell’obbligo di chiedere la restituzione immediata delle bozze. Fu così che l’opera restò inedita.

Non è dunque un’opera scritta così, alla svelta, senza riflessione, o conformata da frammenti e ricordi messi insieme. È un’opera progettata in maniera unitaria e dinamica, e Fabro vi ha lavorato con particolare impegno.

2. Due parole sull’opera in se stessa

L’opera ha una grande unità, ed è stata prospettata in maniera tale. Non vogliamo fare una sintesi, non tocca a noi in questa sede il compito di fare una recensione. Ci limitiamo semplicemente ad indicare i momenti speculativi nodali che segnano la dinamica interna del volume.

Si tratta, sostanzialmente, di un confronto fra la dialettica hegeliana dell’essere astratto e l’autentica dialettica tomistica dell’ente (ens) come sintesi di essenza ed atto di essere. Dopo un’introduzione dove si mettono in scena i termini del problema, e si fa un’analisi critica del problema del cominciamento nella sfera dell’«essere» (Sein), si passa a considerare il problema del cominciamento nella sfera della «essenza» (Wesen), con la messa in primo piano del momento della negatività. Ovviamente, la presentazione che Fabro fa di questi argomenti non è di natura analitico-sistematica, di stile manualistico, ma piuttosto speculativo-dinamica, secondo lo stile che lo caratterizza. Questa parte dell’opera si chiude con la messa in risalto delle autentiche esigenze dell’approccio hegeliano al problema della presenza dell’assoluto.

Segue poi una ben documentata presentazione dei tentativi dei primi hegeliani per dimostrare la consistenza della posizione del maestro, non senza tralasciare con vigorosi accenni gli hegeliani italiani. Il ruolo di pendant lo svolge in seguito un’analisi della contestazione alla dialettica dell’inizio, dove i protagonisti sono Feuerbach, Kierkegaard e Heidegger.

Fabro riprende dopo la riflessione considerando il terzo cominciamento, cioè il cominciamento nella sfera del «concetto» (Begriff). È qui, osserviamo noi, che si troverebbe il primo di tutti i tentativi di riforma della dialettica, fatto da Hegel stesso all’introdurre una terminologia astrusa e sintomatica della palude in cui si è bloccato il suo discorso. Sentiamo un brano di Fabro stesso, come esempio di questa valutazione: «L’espressione “cominciamento mediato” contraddice a tutte le condizioni che Hegel stesso ha prescritte ed è un documento sintomatico della “disperazione” metodologica e dell’anarchia semantica di cui è caduto preda»[1].

Una riflessione sul «nulla» (Nichts) apre il cammino per il momento conclusivo, nel quale Fabro confronta con profondità unica l’inizio del filosofare hegeliano e il cominciamento di san Tommaso, fatto con il concreto trascendentale che è l’ente (ens), come sintesi portante costitutivamente l’atto di essere (actus essendi).

 

3. Livello dell’opera e rigore scientifico di Fabro

Come si può subito osservare, si tratta certamente di un volume di alto livello. Di ciò, Fabro ne era pienamente consapevole. Leggiamo in una sua lettera alla casa editrice[2]: «Il testo apparirà forse un po’ complesso: Hegel molte volte è dato nel tedesco originale». E aggiunge un po’ più avanti che il lavoro «si mantiene a livello universitario e potrà giovare alle nuove leve del pensiero».

Ed è davvero così, cioè il testo è di alta qualità metafisica. Senza esagerare, siamo in grado di affermare che ci troviamo dinanzi ad un Fabro del massimo livello. Perciò l’opera non è certamente ideale per un primo incontro con Fabro.

Leggiamo un brevissimo brano affinché si veda plasticamente come è rigorosa e forte la confrontazione con Hegel. Sembra – dice Fabro in uno dei momenti decisivi dell’opera – che Hegel si voglia liberare della responsabilità di chiarire «quasi alla chetichella, proprio nel momento in cui dovrebbe mettere tutte le carte in tavola senza ricorrere ad espressioni vaghe e sfumate». Infatti, Hegel dice che la semplice determinazione dell’essere è così povera in se, che non si può sottoporla molto al togliere[3]. Il Nostro taglia corto contro le oscillazioni di Hegel in questo momento d’importanza massima per la risoluzione del problema, e il testo ha il tono solenne di una sentenza rigorosa e definitiva: «Non, Hegel non può parlare così. L’essere del primo cominciamento, l’Essere ch’è astratto a tal punto di essere completamente vuoto ecc. ecc. non è né ricco né povero, è identico al Nulla; non si tratta quindi di sottoporlo “molto o poco” al togliere, non si può sottoporlo in nessun modo» [4]. Così forte, così acuto, così chiaro e profondo è il Fabro di questo volume.

Una cosa che colpisce subito il lettore è la serietà scientifica, di studioso, con cui Fabro intraprese l’opera. In una delle lettere [5], Fabro osservava quasi di sfuggita che gli era costato quindici anni di lavoro e di consultazione di opere rare. A conferma di questo, basta con sfogliare un po’ la bibliografia e le note a piede, dove Fabro cita gli hegeliani danesi, i primi hegeliani di destra, i commenti danesi che Kierkegaard aveva in biblioteca… Ed è questo, appunto, il motivo per cui si troveranno delle espressioni o grafie un po’ insolite nelle citazioni tedesche. Per dare alcun esempio, a p. 68, seguendo l’Erdmann, Fabro scrive Tathandlung con l’«h» (Thathandlung), e a p. 110 nelle citazioni del Chalybäus, si legge «Entwickelung» anziché «Entwicklung», e «subjective» con la «c» anziché con la «k». Tutti segni di lettura di «prima mano».

Ma non soltanto questo. La passione per lo speculativo e per la serietà scientifica sono così forti nel Nostro, che lo portano a confrontare diverse edizioni di queste opere. A p. 67, introducendo le considerazioni su Erdmann, dice Fabro: «Ho a mia disposizione la III ed., Halle 1848, con un’importante nuova prefazione dell’Autore e la IV ed. curata da G. J. P. J. Bolland, 1901 (dò le pagine di ambedue le edizioni)». E non mancano pure comparazioni fra diverse edizioni, come si vede, per esempio, a p. 72, dove spiega che Fischer nella edizione del System der Logik di 1852 rimanda all’opera Bruno oder über das göttliche und natürliche Prinzip der Dinge, mentre che nell’edizione del 1909 c’è un richiamo a Schiller e a Goethe. Tutte finezze esegetico-critiche di Fabro.

Anzi, Fabro si permette di avvertire riguardo a qualche incertezza o sbaglio nelle traduzioni come, per esempio, quella di G. Gentile, il quale nel suo volume La riforma della dialettica hegeliana «traduce “schliesst… ein” con “esclude” invece che con “include”» [6].

*    *    *

Vorremmo concludere con un testo che il nostro caro p. Fabro scrisse quando dava i primi passi nella sua corsa di gigante del pensiero e dello spirito, ma anche un testo che lui stesso riprese tante volte inserendolo qua e là in diversi articoli e volumi, lungo tutto l’arco della sua fruttifera e prodiga attività e apostolato intellettuale. Leggiamo l’ultimo riferimento, scritto nel 91 per un convegno nel Laterano:

Una volta che si riconosca, come si deve, la derivazione e deviazione onto-teologica della metafisica moderna dell’immanenza, con le sue propaggini, il compito del tomismo del futuro sembra debba essere l’approfondimento dell’esigenza dell’atto di essere, traendola dentro il problema essenziale del pensiero ch’è la fondazione del finito nell’Infinito: chiarendo così i propri principi della «metafisica dell’atto», non come una figura culturale transeunte ed isolata in sistema, ma come la sostanza perenne dell’umano filosofare in cui si dileguano le manchevolezze e le deviazioni dei sistemi. Ed è perciò al tomismo essenziale, più che a qualsiasi altra scuola di pensiero cristiano, che si addice tale unificazione dell’umana coscienza, dai frammenti del suo divenire storico, nella sua struttura teoretica universale [7].

 

Ecco Fabro, ed ecco il Fabro di questo volume: tomista essenziale e pensatore essenziale.

 

[1] C. Fabro, La prima riforma della dialettica hegeliana, a cura di Christian Ferraro, Editrice del Verbo Incarnato, Segni 2004, § 62, p. 184.

[2] C. Fabro, Lettere, 01.V.1988.

[3] «Die einfache Bestimmung von Sein ist aber so arm an sich, daß schon darum nicht viel Aufhebens davon zu machen ist» (G. Hegel, Wissenschaft der Logik, II, p. 826).

[4] C. Fabro, La prima riforma…, § 60, p. 174.

[5] C. Fabro, Lettere, 26.III.1988.

[6] C. Fabro, La prima riforma…, p. 81, n. 34.

[7] C. Fabro, «Libertà teologica, antropologica ed esistenziale», in Ragione pratica – libertà – normatività, a cura di L. Messinese, Herder-PUL (Dialogo di filosofia 8), Roma 1991, p. 25. Cf. Dall’essere all’esistente, Morcelliana, Brescia 1958, p. 424.

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