Centenario di Santa Gemma
SANTA GEMMA GALGANI NEL PENSIERO DI CORNELIO FABRO
(Sr. Rosa Goglia, asc)
I. LA COSCIENZA DEL PECCATO UNIVERSALE
La Grazia più grande che mi ha fatto Gesù (Autobiografia, p. 253) [1].
1. Il senso del peccato
Nell’Antico Testamento il peccato è trasgressione della Legge, è un’offesa legale; nel Nuovo Testamento esso è invece ribellione del figlio verso il Padre, è rottura di un patto d’amore donato da Dio che lo ha chiamato ad incontrare la salvezza in Gesù Cristo Salvatore.
Il peccato, quindi, non nasce da una energia fisica repressa come vorrebbe la psicanalisi, il che toglierebbe senso a tutta la Redenzione e all’opera salvifica di Cristo, nonché alla malizia stessa del peccato. La cultura moderna, nel suo orizzonte antropologico radicale e storicista tende a deresponsabilizzare l’uomo, opprimendo quell’anelito insopprimibile di libertà, cui comunque anela. «Già in Kant, asserisce Fabro, sono pressoché assenti i concetti cristiani di peccato, di colpa, di dolore dei peccati e di rimorso… i quali non hanno senso al di fuori di un autentico rapporto personale dell’uomo a Dio. E’ impressionante, e sempre più evidente nella coscienza dell’uomo moderno, che l’impegno per l’autenticità dell’uomo sia cercato a spese della perdita, e spesso del ripudio esplicito, del suo rapporto a Dio. Così il messaggio di salvezza che Cristo ha offerto con la sua Passione e Morte e Resurrezione, viene capovolto nella negazione del peccato e nella proclamazione della sufficienza delle categorie storiche con la vittoria definitiva sul peccato»[2].
Questi capisaldi sono oggi attaccati dalla New Age che in variegate forme nega la trascendenza, la creazione, l’essere personale di Dio, nega l’esistenza del peccato classificandolo come imperfezione, vanificando la necessità della grazia e l’opera della salvezza compiuta da Gesù Cristo, Salvatore e Redentore. Mentre tutta la mistica cristiana, e nel nostro caso S. Gemma, evidenziano al massimo la Passione di Cristo per la redenzione dell’uomo.
In maniera inequivocabile Fabro ci presenta questa riflessione: «Il nucleo operante nell’esperienza mistica di Gemma Galgani, è la sua eccezionale conformità alla Passione di Cristo. Eccezionale, perché dotata ed accompagnata dall’impressione fisica delle Stimmate e da quasi tutti gli altri fenomeni dolorosi: quali la corona di spine, la flagellazione, il peso della croce e i “dolori mentali” come il peso di tutti i peccati, le vessazioni diaboliche, l’agonia nell’Orto e l’abbandono dello spirito… Al fondo di questi fenomeni, come situazione che li anima e li contiene, sta la duplice esperienza intensiva e comprensiva dei dolori di Cristo, i quali per singolare grazia le apparivano al vivo nella contemporaneità della storia umana e, dall’altra parte, l’esperienza altrettanto forte ed opprimente della malizia del peccato come dell’unico vero male del mondo.
Ma ciò ch’è ancor più singolare in Gemma, come vedremo nel suo crudo e realistico linguaggio, è ch’essa riferisce le sofferenze di Cristo alla malizia dei suoi peccati: il fatto cioè di considerarsi non solo peccatrice, ma la più grande peccatrice di tutti i tempi, colei che ha fatto piangere di più Gesù. Di questa singolare “impressione” non c’è spiegazione, né teologica né psicologica: Gemma sapeva di avere sempre aspirato al Paradiso e ad una vita di purezza- e neppure si tratta di un’espressione solamente teologica, poiché ogni cristiano è chiamato anzitutto e soprattutto a pentirsi ed a riparare i propri peccati»[3].
In questa deriva post-moderna e post-cristiana in cui si è affievolita la predicazione di Cristo Crocifisso e del suo Vangelo, si va perdendo il sentimento cristiano del peccato, quasi nessuno si accosta al Sacramento della divina misericordia “di cui Gemma era assetata” per assaporare il Sangue di Cristo.
Anche da questo studio, ossia sul versante dell’esperienza mistica delle Stimmate ed il vissuto di Gemma sul senso del peccato, il nostro filosofo propone argomentazioni molto forti, tali da erigere una diga alla prorompente furia della piena dell’errore e della confusione anche della New Age.
2. La positività del peccato
Il peccato è una decisione libera. C’è in ogni peccato un atto di volontà e, quindi, di responsabilità; è stato il Cristianesimo a fare chiarezza sul senso del peccato e a darci con Cristo la rivelazione della realtà positiva del peccato, quella che Gemma in maniera esperenziale sente fino allo spasimo, in modo lacerante e straziante. Ascoltiamone qualche espressione:
«I miei peccati si sono innalzati sopra di me stessa…(Estasi, p.51).
Ah, Gesù, quello che mi affligge di più in questo mondo sono i miei peccati…(Estasi, p.56).
Siamo sempre qui: ho peccato, ho fatto tanti peccati. (…) Ho fatto tanti peccati, Gesù…(Estasi, p.819.)
Quanti peccati, o Gesù! Togline il peso: mi fanno ribrezzo il gran numero. Accetto, Gesù, tutte le pene, tutte le afflizioni che mi manderai; ne meriterei tante di più. Sarebbe tutta misericordia, Gesù, se tu accumulassi pene, afflizioni; anzi, Gesù, se tu me ne vuoi aggiungere…sì, Gesù, se tu ne vuoi aggiungere, bacerò sempre la tua mano. Vedi, Gesù, questo dolore mi scuote tutte le fibre del cuore e m’impegna a non offenderti più.
O Dio! Gesù, togli tutto quello che la mia malizia mi mette in mente, poi accetta l’offerta. Non mi abbandonare, Gesù; guarda l’anima mia, pensa quanto hai faticato per salvarla. Eterno Padre, guarda Gesù, abbi pietà di me. Eccomi pronta, pronta a tutto. Vuoi che viva? Io son contenta.
Fai pure, Gesù, che tutto il mondo mi conosca per quella miserabile che sono (Estasi, p.97).
Ti ho offeso, ti ho offeso tanto…(Estasi, p.135). O Gesù, tu avresti ragione di lamentarti di me; sì, perché ti ho offeso…E immeritevole qual sono, bisognerebbe pure che rendessi all’altare tante particole, (da me) rubate, tanto sangue…Ma te la prometto l’emenda, basta che tu continui la corrente dei tuoi favori…Perché dal fango dove sono, inalzarmi al Paradiso?…
Piuttosto che mancarti di fedeltà e di amore, fammi morire…Meglio viver fra le pene, che viver peccatrice…(Estasi, p.136).
Bisogna però che dica che tante volte, ma in particolare il Giovedì sera, mi prende tanta una tristezza tale, al pensiero di aver commessi tanti peccati, tutti mi ritornano alla mente, che mi vergogno di me stessa, e mi affligge tanto tanto. Ieri sera pure, poche ore prima, mi venne questa vergogna, questo dispiacere, e trovo solo un po’ di quiete in quel po’ di patire che Gesù mi manda, offrendolo prima per i peccatori, e in particolare per me, e poi per le anime del Purgatorio (Estasi, p. 193).
La solita ripugnanza mi giunge; il timore di perdere l’anima mi viene; il numero dei peccati e l’enormità di essi, tutto mi si spalanca davanti. Che agitazione! In quei momenti l’Angelo Custode mi suggerì all’orecchio: ”Ma la misericordia di un Dio è infinita”. Mi quietai (Estasi, 197)[4].
Difficile, dice Fabro, spiegare la realtà positiva del peccato, ma senza questa analisi non ha senso la Redenzione di Cristo e non ha senso, di conseguenza, la realtà che vivono i mistici.
Seguiamo questa profonda indagine:
«C’è quindi in ogni peccato un atto di volontà, c’è un rischio, una specie di aggressività, di sicurezza.[5] La decisione originaria è la scelta originaria: io mi do alla rapina, al delitto…, lo voglio, ed è quello che conta perché se il male e il peccato si riducessero prevalentemente ed essenzialmente a mera privazione, l’uomo non sarebbe responsabile. E’ un’azione positiva il peccato, dispregio della legge divina, di sfida a Dio, di scelta di questo mio io nel mondo, di affermazione dell’io nella ricchezza, nella dinamica dei partiti piu’ o meno estremisti, ecc. Si tratta di una scelta qualificativa interna così che se, per un atto radicale di introflessione trascendentale, ciascuno di noi potesse riversarsi all’interno della propria coscienza dopo una scelta radicale di questo tipo, si vedrebbe configurato nel delitto o nel rischio o nella virtù che ha operato.
Ecco quindi la positività di scelta; questo è un apporto unico, esclusivo del messaggio di libertà del Cristianesimo»[6].
Altrove, Fabro va ancora più a fondo del problema e dice: «Anche Kierkegaard ha un’idea certamente pessimistica dell’umanità e quest’idea non è in senso luterano -checché dicano tanti espositori - ma in senso esistenziale in quanto egli, pur affermando in modo vigoroso la libertà umana, tuttavia vede che questa libertà-come già S. Agostino, Pascal e tutti i più profondi moralisti e scrutatori della soggettività umana - è tutta a servizio dell’io soggettivo, dell’io piccolo delle nostre passioni, dell’io idolo e non dell’io come compito di libertà. Questo “io—io” che ci striscia accanto e ci soffia nelle orecchie, nelle orecchie del cuore e della mente, che ci insinua sottilmente tutti i pregiudizi del nostro tornaconto facendoci apparire appunto la verità dentro l’angolo della soggettività…: forse se una volta in vita riuscissimo a sbarazzare il nostro io da tutte le corazze di difesa che noi abbiamo costruito con tanti anni di apologetica nostra, se riuscissimo a snidarlo e a snudarlo per poterlo contemplare in viso in tutte le sue malefatte, le più insidiose (e questo non deve farci orrore ma deve impegnarci a vedere che razza di galantuomo è questo “io”!); se noi potessimo avere quasi un’illuminazione radicale, un raggio che facesse la trasparenza del cuore e la percezione totale di tutto il gomitolo e l’andirivieni dei nostri progetti soggettivi…, noi vedremmo l’importanza radicale di questa libertà per la verità e forse per la prima volta (corsivo mio) capiremmo e vedremmo quel punto interiore, quel punto profondo attorno al quale dovrebbe svolgersi tutta la nostra vita. E quel punto profondo è l’io schietto, l’ io umile, l’io che si disperderebbe se non avesse la certezza di un Principio assoluto e del Redentore che ci ha dato la Grazia»[7].
In una omelia domenicale il Fabro ebbe a dire: «San Tommaso afferma che il “motivo principale dell’Incarnazione è il peccato dell’uomo” riprendendo l’espressione di S. Agostino: “Se l’uomo non avesse peccato, Cristo non si sarebbe incarnato”. A questo punto, spiega Fabro, abbiamo un attestato, un documento giuridico trascendentale che Dio ci ama: Egli ha mandato il suo Figlio in terra non perché il mondo fosse piu’ perfetto, ma perché l’uomo non fosse disperato.
3. Situazione carisma
Proviamo a seguire un altro percorso in elevazione trascendentale. Gemma «si professa e confessa, con spietata insistenza, peccatrice e gran peccatrice. Si potrebbe anche osservare che Gemma parli così di sé perché “ingrandisce” cioè esagera (per un complesso di colpa!) le sue presunte mancanze…: una spiegazione verosimile, anche ovvia, dal punto di vista della psicologia normale. Ma questo non è il caso Gemma che per tutto il resto si mostra sempre equilibrata e discreta, portata a parlare sempre bene degli altri e…sempre male di sé: come mai? Tanto più che è Gesù stesso-e questo sembra ancor più sconcertante- che la proclama “ la peggio di tutte le creature”. Ma è lo stesso Gesù poi che celebra, in altre estasi (e Gemma stessa è pronta a riconoscere), le meraviglie di grazie che opera in lei e le predice la glorificazione degli altari.
Dobbiamo forse pensare a qualcosa di più alto, ad una situazione di spirito più profonda al di là di ogni valutazione finita, cioè di carattere totale e tutt’abbracciante. Si potrebbe, forse, parlare di una “situazione - carisma” del senso del peccato ossia di un senso - totale della malizia del peccato stesso ch’è abbracciato dall’anima nella sua pienezza di malizia, dalla sua prima origine lungo tutto il corso della storia umana, ch’è la storia di prevaricazione continuata e di ribellioni sempre in atto dell’uomo contro Dio. Ora il santo, come il figlio di Adamo da una parte e dall’altra per il lume speciale ricevuto, si sente coinvolto e immerso in questo torrente limaccioso e fetente della storia e quindi anch’egli si confessa reo e correo.
Questa è certamente una situazione nuova e speciale, (corsivo mio) è un trascendere il lume normale della ragione e della morale e i dati effettivi e reali della memoria storica: si potrebbe forse parlare di un elevarsi della memoria cordis in un dolore di compassione infinita ed universale. Ma anche questa è un’espressione che non rende, a mio avviso, la densità di “realtà” delle espressioni di Gemma. Invece di un “elevarsi”, un termine certamente poco adatto ad esprimere l’appenarsi e la partecipazione dolorosa della Santa, si potrebbe parlare di uno sprofondarsi e di un’inabissarsi - per un particolare lume di grazia – aldilà dello stesso proprio nulla della creazione, ossia di uno sprofondarsi nella percezione intima e vissuta del peccato radicale come peccato reale ossia come suo proprio peccato. Come quando Gemma esclama: “O Gesù, in tutti i giorni della mia vita io ho sempre peccato: molte offese le ho già piante; ma quel che è peggio, è che ne faccio sempre di nuove”. (Estasi, 78°, p.103)» [8].
Siamo debitori alla penna di un Fabro, alla sua radicalità metafisica per questa profonda analisi del peccato come atto di libertà, rifiuto del rapporto a Dio e, quindi, di malizia. Sembrerebbe aver dato veste metafisica alle manifestazioni mistiche ed estatiche della nostra Gemma. E così se il filosofo assicura Gemma da banali o superficiali interpretazioni, la Santa ne ispira la mente e il cuore.
Egli che in una lettera (del 23.IX.1989), indirizzata a Madre Giovanna, scrisse: «Spesso con la memoria penso a Lucca, entro con la fede nel vostro Santuario e mi raccomando a Gemma “testimone del soprannaturale” » .
II. LA CONTEMPORANEITA’ ALLA PASSIONE DI CRISTO
1. Gesù Cristo, Salvatore e Redentore, soffre ancora?
Ci addentriamo ora in un’analisi tanto profonda, quanto discreta: «C’è un testo sintomatico proprio di Gemma che sembra ricondurci alla spiegazione tradizionale. Rileggiamo (parzialmente) la lettera 57^ (22 aprile 1901) al P. Germano, dove la Santa scrive che Gesù «… non le risponde più allegro come prima; ora mi risponde sì, ma ha le lacrime agli occhi. Quando mi metto a pregare, qualunque preghiera faccia, mi guarda e piange (cioè mi sembra di vedergli gli occhi lacrimosi). Mai ho il coraggio di domandargli nulla. Ieri mattina, costretta per obbedienza a domandarglielo, gli dissi: “Gesù perché piangete? ” ed Esso: “Figlia non me lo chiedere…”. Mi fece piangere tanto anche me…»[9].
Seguiamo ancora le parole di Gemma:
«Oh! Quando vedo piangere Gesù, mi trafigge proprio il cuore; penso …penso … che col peccato gli ho aggravato l’oppressione che fu ricolmato nel fare orazione nell’Orto…In quel momento Gesù vide tutti i miei peccati, tutte le mie mancanze e insieme vide il posto che avrei occupato nell’inferno, se il cuore di Gesù (tuo) non mi avesse impetrato perdono»[10].
Molti preferiscono dormire, mentre nell’Orto, Gesù agonizza e suda Sangue e si prepara all’atto di supremo sacrificio per la nostra salvezza.
2. Ma cosa può dire al riguardo la filosofia?
Fabro cita alcuni passaggi di pensatori sensibili a questo problema: «Questa esperienza della contemporaneità al dolore reale di Cristo nella sua Passione risale almeno fino ad Origene, il quale nelle Omelie in Leviticum scrive: “Salvator meus luget etiam nunc peccata mea” ( Homil. VII2 ; P. G. XIII, col. 477). Il testo è citato anche da Kierkegaard nelle riflessioni cristologiche del Diario della maturità…». (Ib. p. 63, nota 9), che così spiega: «Dice bene Origene: “Ancora (nella gloria) Egli piange per i nostri peccati. Non può rallegrarsi fin quando noi rimaniamo nella nostra ingiustizia. Come può Egli, che salì l’altare per redimere i nostri peccati, come può essere in gioia quando la miseria dei nostri peccati sale fino a Lui? Egli nel Regno di Dio non vuole bere da solo il vino della gioia; Egli aspetta noi. Ma quando domanderete voi, sarà portata a compimento la Sua gioia e la Sua opera? Quando avrà reso me l’ultimo e il più misero di tutti i peccatori, perfetto e compiuto”. L’ultima osservazione è una formula eccellente, specialmente quando la si considera come un foglio bianco dove ciascuno può scrivere il proprio nome, ma l’eccellenza della formula di Origene è che egli, dopo un’introduzione così grandiosa, più di tutta la storia universale, riporta poi la situazione " “a me” »[11]. E come non ricordare l’appassionato commento di B. Pascal nel “Le mystère de Jésus” alla dolorosa agonia nell’Orto? Ancora in questa linea, con somiglianza sconcertante con Gemma, le testimonianze di S. Padre Pio da Pietrelcina; piu’ vicine nel tempo le mistiche: Maria Valtorta, Sr. Elena Aiello, Angelina Lanza e Teresa Musco e le apparizioni di Cristo sotto la Croce, con le ferite sanguinanti, dei Crocifissi ed immagini sacre, pure sanguinanti.
L’argomento è ripreso recentemente anche da Giuseppe Bicocchi nella Rivista “Santa Gemma e il suo Santuario”.
Pertanto, l’analisi di Fabro è incalzante: «Ma il problema del significato di quel singolare fenomeno di Gesù che appare hic et nunc sofferente, grondante sangue, piangente… per i peccati che gli uomini, disprezzando la sua grazia, continuano a commettere, resta ancora da decifrare. Gemma scrive, d’accordo con la Tradizione che “…Gesù vide tutti i miei peccati… e vide il posto che avrei occupato nell’inferno”, è certo che non solo come il Verbo eterno, ma anche come Uomo-Dio glorificato alla destra del Padre, Cristo abbraccia dall’inizio alla fine la storia non solo dell’umanità ma di ogni individuo particolare. Si può anche credere- ma il Vangelo non lo dice - che Cristo nell’orto ha (ante) visto i peccati di tutti gli uomini ed ha sofferto per essi il sudore di sangue…Per questo Cristo vuole che Gemma ripeta in sé le sofferenze fisiche e morali della Sua Passione. Gesù continuava: “Guardami: mi vedrai tutto trafitto, deriso da tutti, morto in Croce e Io ti invito tu pure a morire in croce con me…”. Allora il Cristo che appare piangente, sofferente fino a versare sangue, crocifisso…rinnova misticamente, quindi, realmente (?), i dolori della Passione per i nostri peccati…
Allora Cristo come uomo continua a soffrire? Od è soltanto la scena dei mistici, un’immagine retrospettiva? Ma non sarebbe obbligato allora il mistico a dichiararlo per primo? Perché allora tutti i mistici insistono nel descrivere il “fenomeno” in termini di presenza reale alla quale “partecipano” con il proprio dolore e i propri patimenti? Insomma: il problema, così posto, ha un senso? A me sembra di sì, ma dubito di riuscire a dargli una prospettiva sufficiente: mi auguro che riesca qualche altro più profondo e soprattutto dotato di senso più spirituale. Il nostro modesto tentativo s’ispira ad un tipo di analisi esistenziale del tempo come “spazio” della libertà (corsivo mio) inteso nel senso, se così posso esprimermi, di contenente attivo della possibilità di cui la libertà è principio per ciascuno di noi, dalla nascita alla morte. Così, sul piano esistenziale - non certo, ovviamente, su quello metafisico-ogni decisione è scelta di libertà sempre nuova (corsivo mio) da parte dell’uomo, cioè di ogni singolo»[12]. «Il punto più delicato, ed anche più suggestivo, si interroga Fabro, è quello di chiederci se questa continua presenza operante di Cristo usque ad consummationem saeculi non sia semplicemente ridotta (sic!) ad una presenza, effettiva certamente, ma considerata soltanto come già “avvenuta”. Ma si può dire anche in qualche modo che, grazie all’intreccio d’immanenza e trascendenza… nella forma soprattutto dell’incontro –scontro di due libertà, la divina e l’umana, che la Passione di Cristo, a causa dei continui peccati degli uomini, continua in qualche modo ( “misticamente e realmente”) in Cristo perché gli uomini continuano a peccare ed a qualificare la storia con il novum delle proprie scelte di ribellarsi a Dio»[13].
3. Il tempo umano acquista un nuovo rapporto interiore
Sostiene Fabro: «Con la venuta di Cristo, il tempo umano acquista un nuovo rapporto interiore, (corsivo mio) cioè s’inserisce nell’eternità che è proprio della divinità. Di conseguenza (credo si possa dire) con lo scomparire della presenza esteriore della Persona di Cristo dalla scena della storia del mondo, non può essere annullata la Sua presenza reale - anche se invisibile - al mondo ed al tempo umano e quindi Egli non è mai assente agli eventi della storia. Questo sembra pacifico: perciò pare anche opportuno e legittimo concludere che come il nunc reale della presenza continua (-ta) di Cristo alla Chiesa, nelle vicende della sua realtà storica, non è tolta ma sostenuta dall’eternità, in cui anche l’umanità di Cristo è stata assunta e glorificata, così questa gloria non nega né distrugge (corsivo mio), ma sostiene ed illumina sul piano soteriologico una presenza e partecipazione di una “nuova e reale” sofferenza del Cristo-uomo per i peccati che gli uomini ancora commettono e continuano ancora a commettere fino alla fine dell’eone storico che sarà chiuso con l’ultimo Giudizio»[14].
Ma Cristo ha detto che rimane con noi fino alla fine dei tempi. Ed allora: «…Per Cristo vale una ragione speciale: con l’Incarnazione e con i singoli Misteri della sua vita il Verbo eterno ha contratto in Cristo una particolare “situazione di appartenenza al tempo” ch’è la storia umana, la quale costituisce per l’appunto il “tempo opportuno” … della salvezza. Questa “situazione nuova” è una novità sia nel Verbo Incarnato destinato alla Passione, per salvare l’uomo, sia nell’uomo chiamato alla salvezza mediante la libertà, ossia la sua partecipazione libera alla Passione di Cristo»[15]. Ma il discorso non è semplice, poiché può sembrare: «una soluzione minimistica negare che in realtà per il “peccato” dell’uomo, Cristo ormai (glorioso) più non soffra come uomo, perché ha già sofferto per tutti i peccati della storia umana ch’Egli aveva già previsti uno per uno…i miei (come dice Gemma), i tuoi, quelli di ciascuno e con la speciale malizia di ciascuno. Pertanto, come Cristo gioisce quando fioriscono i Santi, così anche soffre quando infestano i peccatori» [16].
Per comprendere le divine realtà è necessario che la ragione segua le ispirazioni profonde dell’anima, quel “divino istinto” di cui già parlava Aristotele su cui San Tommaso poggia la mirabile dottrina dei Doni dello Spirito Santo, approfondimento e prolungamento delle virtu’ teologali. I Doni abbracciano tutte le attività dell’anima sia speculative che pratiche e la introducono nei segreti della vita soprannaturale. Con l’anima così corroborata possiamo entrare nel tempo di Cristo: sofferente e glorioso. Fabro asserisce al riguardo: «La verità teologica della Divina Trascendenza e dell’Impassibilità di Dio ci sembra resti salva ed anche, di conseguenza, di Cristo, come Verbo eterno nella sua nascita eterna (Gv. 1, 1). Nella seconda e terza nascita, ossia in quella ch’è avvenuta una volta sola nel parto verginale di Maria ed in quella che avviene in ogni anima che passa dal peccato alla grazia, secondo la profonda esposizione di Eckhardt ripresa da Taulero, quando trascendenza e immanenza, ossia Dio e le creature, vengono a contatto e quasi s’intersecano»[17].
4. “Essere per diventare se stessi davanti a Dio in Cristo”
Un enunciato tutto da approfondire, una formula ontologica e dinamica, metafisica ed esistenziale che orienta la comprensione del rapporto di infinito-finito, divino-umano, eterno-temporale, assoluto-contingente, grazia e anima, fede e ragione, in una parola la libertà come creatività partecipata, secondo le incisive espressioni fabriane: «La rivoluzione cristiana, asserisce Fabro, consiste nella Rivelazione della libertà esistenziale, concetto sconosciuto nell’antichità, il nucleo di questo capovolgimento è la libertà la quale, peraltro, è possibile solo in funzione di un’autentica spiritualità.
La rivoluzione cristiana è essenzialmente rivelazione della libertà esistenziale. Esistenzialismo positivo e costruttivo»[18]. E’ su questo fondamento metafisico che possiamo parlare di realtà presenziale di Cristo nella storia delle anime. « La visione che Cristo ha ora, ed in ogni momento, dall’atto della libertà dell’uomo che ama o che pecca - ha sempre carattere reale e presentativo.
Possiamo considerare allora che, nei fenomeni mistici, abbiamo un “tempo nuovo” ed una “presenza nuova” di Cristo, in virtù dell’atto nuovo che l’uomo pone , di peccato o di amore?… Perciò la storia umana ed ogni atto libero, sia dei Santi come dei peccatori, è presente a Cristo in un modo estensivo e intensivo, così che ogni atto gli è presente nella qualità propria del “momento” del suo reale accadere: lo tocca ancora e lo toccherà fino alla fine dei tempi, con una nuova spina di dolore o con una nuova goccia di conforto. Tale ci sembra il folgorante messaggio cristologico ed ecclesiale dell’umile vergine lucchese» [19].
Fabro non poteva non sottolineare la valenza ecclesiale e soprannaturale di questa eccezionale “testimone”: testimone di Cristo, non in un mondo pagano, ma all’interno della cristianità.
III. TESTIMONE DEL SOPRANNATURALE
Fabro diagnostica nella odierna “crisi del soprannaturale” l’insidia piu’ grave nella vita dei cristiani ed anche nella teologia. Questa crisi ha toccato negli ultimi tempi uno dei vertici piu’ acuti nella storia della Chiesa, a causa della cosiddetta “svolta antropologica, quasi un ritorno di fiamma del modernismo che già S. Pio X aveva cercato di debellare all’inizio del secolo, seguito dai suoi successori.[20] Piu’ volte Fabro ha detto ed anche scritto d’aver ricevuto dallo studio della Galgani una forte impressione del soprannaturale, ed a questa va riferita la scelta del titolo del volume “Gemma Galgani. Testimone del soprannaturale”.
1. Lo stile dei suoi scritti, riflesso del soprannaturale
Si scopre in queste pagine una investigazione che attinge il sentire di Gemma, un sentire soprasensibile, una “normalità del supernormale” che “Gemma sente ma non capisce!”
«La figura singolare di Gemma Galgani ha suscitato studi e ricerche specialmente sulla originalità della sua vita spirituale, sui singolari doni mistici di cui Dio la gratificò, sulla sua eccezionale vocazione di passionista (mancata!)… Poco ancora è stata studiata la personalità, quale risulta dagli scritti di questa mistica toscana, che sa piegare la sua penna a insoliti ardimenti di concetto e di stile, pur scrivendo di “furia” e senza mai rileggere, come lei stessa confessa…
Gemma quando scrive - e credo sia risultato un gran pregio - non si richiama a principi riflessi di teologia o di spiritualità (le sue letture agiografiche sono state molto limitate) e neppure a testi biblici. La sua vita spirituale è fatta in prevalenza di incontri e di presenze, di colloqui e contese spirituali con personaggi dell’aldilà: non c’è che lei, Gesù, la Madonna, gli Angeli, S. Gabriele e (notevole protagonista!) il diavolo… e tutti le parlano con stile immediato, senza alcuna erudizione…
Ma lo stile di Gemma è tutt’altro che naîf o grezzo o impacciato: esso rispecchia le altissime cose che deve riferire, ma lo fa senza fronzoli, con pudore quasi a scatti e sussulti, limitandosi all’essenziale. E’ preoccupata, assai preoccupata…ma non della grammatica e della sintassi e tanto meno della qualità letteraria dell’esposizione o della descrizione, bensì unicamente di riferire con precisione le esperienze strane e insolite che prova e che riceve; soprattutto cerca di avvilire se stessa, di mettersi dalla parte di chi la disprezza, la fa soffrire, la deride e la trascura…Eppure Gemma sa scrivere, e come! Quando il tema la prende e la rapisce nel suo vortice, la pagina freme delle vibrazioni dell’eterno ch’essa rievoca e “ripete” con l’animo sbigottito e incantato insieme… Si ha l’impressione che lo zenit della sua vita mistica con l’impressione delle Stimmate, la domenica dell’8 giugno 1899, è stato un punto di arrivo di un tirocinio della croce, ch’è rimasto un segreto fra lei e Gesù (corsivo mio). E non sembri irriguardoso allora- e se ciò fosse, chiedo umile perdono a Gemma - riportare la forza delle pagine di Gemma alla veemenza delle sue esperienze, una veemenza dolce ed una dolcezza veemente, quella di un fuoco misterioso ch’ essa attingeva altrove e l’appenava sempre piu’ nell’esilio del mondo...
La sua pagina ha però un sua propria dimensione…di volta in volta perché creata sul posto, se così si può dire: non è né di scienza né d’esperienza , nel senso ordinario di questi termini, essa viene da un nuovo continente (corsivo mio) in cui è trasferita la sua anima, che non è il nostro, neppure quello delle anime spirituali di giusto calibro. Ma è inutile diffondersi in considerazioni vaghe e formali: solo chi la legge, anzi solo chi vi ritorna, non una ma piu’ volte di continuo (corsivo mio) potrà rendersi conto degli ardimenti del suo stile, sempre asciutto e vigoroso, quasi non di donna anche se profuma di esperienze celestiali». Stile cateriniano , spesso, ma sempre stile della “povera Gemma”. «Ma ciò che sconcerta - e (forse) anche consola – nella vita spirituale di Gemma è da una parte la sua affettuosità e tenerezza che le strappava dal fondo del cuore, come diremo il pianto - un pianto silenzioso di amor doloroso - e dall’altra parte una fermezza d’animo e un dominio dei sentimenti piu’ che virile, da superare intrepida i dolori e le privazioni piu’ cocenti senza versare una lacrima, come nella morte della mamma, del papà, del fratello Tonino e della diletta sorellina Giulia, così da accettare con assoluta indifferenza la miseria nera e piena di umiliazione che si abbatté sulla famiglia alla morte del babbo. I testimoni del Processo sono concordi nel rilevare soprattutto in quest’ultima occasione il comportamento di eccezionale dignità da parte di questa ragazza che aveva conosciuto l’agiatezza di una famiglia borghese e fu costretta a vivere quasi di elemosina. L’Autobiografia sorvola su tutto questo, nessun cenno, nessun lamento: “Io sola senza cuore, scrive, rimanevo indifferente a tante disgrazie”… E’ un’espressione di rara elevatezza di spirito, che rivela una visione cristiana della vita e della morte come baluardo contro l’irrompere irrazionale delle disgrazie e la tentazione della disperazione»[21].
2. Piani di coscienza
Nel 1976 Fabro subì un’operazione chirurgica impegnativa e dolorosa; soffrì tanto sia prima che dopo l’intervento, e la convalescenza fu molto lunga. Ricordo che lui quando parlava di questo periodo diceva di aver avvertito come tre piani di coscienza: uno, in fondo: di profonda tristezza per il male presente nel mondo e nella Chiesa; un altro in mezzo: quasi una solidarietà con chi soffre, che dava rassegnazione; ed infine, un terzo: di gioia del soffrire. Anche riguardo a Gemma egli parla: «di “piani di coscienza” e nella prospettiva piu’ ovvia di piani, in successione ascendente: piano umano, cristiano, mistico. Il piano mistico in Gemma si presenta in questi scritti a tale punto di assuefazione che sembra quasi “naturale” e la prima a stupirsi è lei stessa che si giudica e sempre con puntigliosa e candida insistenza tanto “cattiva”. Gemma sempre, fin da bambina, e non solo a partire dall’impressione delle stimmate, è vissuta in un mondo tutto suo e diverso da quello comune: non che essa non avvertisse le voci e le suggestioni di questo, ma sta il fatto che si trovi trasferita nell’altro sotto la spinta di una arcana predestinazione di cui lei è la prima a stupirsi, mentre confessa con impietosa sincerità i pericoli delle sue tendenze e le suggestioni maliarde dell’epoca, con un avvertimento superiore all’età e alle condizioni dell’ambiente. Ma ben presto l’anima sua è segnata con il marchio di fuoco della sua vocazione alla Croce. Questo fa passare in secondo ordine, ma non vorrei essere frainteso, il lato sia cristiano ordinario come quello umano- anche se l’uno e l’altro ebbero in lei una profondità e vigoria eccezionale. Gli è che l’uno e l’altro furono in lei convogliati nel turbine del primo e dominati dalla sua veemenza: si potrebbe quasi dire - e mi rendo conto di usare un’espressione piuttosto eterodossa- che la veemenza della realtà mistica li ha trascinati con sé, quello semplice cristiano e umano dominandoli, non però per eclissarli ma per farli fiorire con sorprese di elevazioni originali nella sua libertà. Si dirà che questo è accaduto a tutti i Santi: può essere, ma in Gemma Galgani è il piano mistico che si umanizza e quasi perde ogni paludamento di trascendenza ma così che il piano umano stesso è già mistico fin quando, piccina ancora e in braccio alla mamma, accanto a suor Vagliensi o già ragazzina di 11 anni (ma ancora in braccio a suor Giulia Sestini!) si commuove, gioisce, piange, sviene…al sentir parlare del Paradiso e di Gesù crocifisso»[22].
3. Solo Gemma può spiegare Gemma
Leggendo queste descrizioni così penetranti della realtà mistica di Gemma si avverte lo stupore, quasi i fremiti e la commozione che sospingono e muovono la mente e la mano del filosofo Fabro. Egli interpreta i fenomeni straordinari della Santa come il suo modo ordinario, o aspetto esistenziale di vivere il rapporto con Dio, come una “esperienza di presenza del soprannaturale”; sono le stimmate che hanno permesso alla Santa di rapportarsi a Cristo Crocifisso, ma subito non esita ad aggiungere ch’egli si sente di essere un dilettante circa lo studio sulla mistica lucchese. Soleva dire anche: “sono 40 anni che studio Gemma e Kierkegaard ma non posso dire di averli capiti”. E così scrive: «Qualsiasi tentativo di analisi o di descrizione resta sempre al di sotto della realtà. Solo Gemma può spiegare Gemma, no, forse neppure Gemma può spiegare ciò che vive, sfolgora e si nasconde in Gemma, ma solo Colui che la folgora e l’attira, Gesù stesso. E tutto quello che si può conoscere a questo riguardo si trova appunto nei suoi scritti tutti occasionali e buttati giu’ appunto di furia: essi sono certamente uno dei piu’ straordinari documenti di comunicazione nella storia-pur tanto ricca-della spiritualità cristiana. Ma anch’essi, più che sciogliere il mistero del suo itinerario terreno, l’infittiscono per noi ancor più. Alla fine, dopo le molte letture e riflessioni alle quali uno è attratto per una misteriosa magìa di spirituale fascino e profondità (corsivo mio), essi si mostrano come uno schermo sul quale si proiettano e scorrono realtà che stanno aldilà di tutte le categorie e le consuetudini dell’esistenziale ordinario. Uno schermo sul quale, ma soprattutto oltre il quale, compaiono sensi e sentimenti di Gemma sulle realtà terrene e celesti che si sprofondano nelle dimensioni inaccessibili della divina giustizia e misericordia. È il mondo del soprannaturale, visto e vissuto da parte di una coscienza, senza dubbio, privilegiata. Si ha l’impressione che più si avvicina a sì fatte realtà, che riempiono le ore e i giorni e le notti di Gemma, e più l’orizzonte si sposta sprofondando in una luce che le avvolge e le oscura per noi- ma anche, come vedremo, per la stessa Gemma, benché non allo stesso modo che per noi. La realtà della breve ed infuocata vita di Gemma è quella di “figlia della passione”, come la chiamò Gesù stesso, e le varie “conversioni” di cui ella parla, sono le tappe del suo avanzare nella sequela di Cristo Crocifisso. Glielo ricorda l’Angelo Custode quando la rimprovera per l’orologio d’oro: “Ricordati che i monili preziosi che abbellano una sposa di un Re Crocifisso, altri non possono essere che le spine e la Croce”. Ma ciò che a questo proposito sorprende- e questo garantisce in lei il suo distacco- sono le sue ripetute dichiarazioni che “non capisce nulla”, che infiorano specialmente l’Autobiografia. Aveva sentito dalla mamma, quando le mostrava il Crocifisso, che Gesù era morto in Croce per gli uomini: “Io capivo ben poco e piangevo”. Così “…più tardi poi lo sentii ripetere dalle maestre, ma mai avevo capito nulla”. Siamo quindi agli antipodi dell’infatuazione isterica femminile: Gemma stessa ironizza e scherza volentieri “esagerando” sulla sua testa matta, mattuccia e anche piuttosto dura di comprendonio»[23].
4. Organo preternaturale dell’anima
Non senza una positiva perplessità leggiamo alcuni titoli dei capitoli e paragrafi del volume: “L’oscurità della via: Dio, la fantasia o il demonio”; “L’oscura evidenza del soprannaturale”; “Gemma sente, ma…non capisce”; “Il sentire soprasensibile”; “La normalità del supernormale di Gemma”…
Fabro non esita a dire che: «Gemma è un caso a sé e sfugge ad ogni schema e classificazione” (ib., p. 453); il suo stato di stigmatizzata “sembra sfuggire ad ogni determinazione o formula di scuola” (ib., p. 457), perfino “il pianto di Gemma è un pianto teologico” (ib., p. 445). I suoi scritti “andrebbero considerati, non soltanto letti, ma studiati cioè analizzati sotto il profilo della dinamica del rapporto con il mondo soprannaturale, con i vari personaggi che intervengono nella sua vita di ec-stasi, cioè di astrazione e rapimento” (ib., p. 458). Gemma vive la sua esperienza mistica “in una tensione continua che va dal gaudio supremo delle divine cose alla disperazione, com’ella stessa arrischia qualche volta a scrivere, con trepidazione e sgomento» (ib., p. 458).
Sostenuto dai suoi studi giovanili di “Fenomenologia della Percezione” e “Percezione e Pensiero” che hanno aperto un varco nell’odierna scienza cognitiva, Fabro può così scrivere: «Forse questo “non capire” dei mistici significa che essi non riescono ad inserire nel corso delle componenti (sensazioni, immagini, concetti…) della vita ordinaria i contenuti (parole, immagini, concetti…e soprattutto esperienze) delle celesti comunicazioni» (Ib., p. 216, nota 3).
«Sorprende pertanto in Gemma, fra le molte altre cose, la quasi totale assenza di riflessione nel senso abituale e cioè di ritorno della mente sulle cose conosciute e di confronto dei loro rapporti per far operare la ragione. Gemma per suo conto, è un’espressione che ricorre di continuo, dice che “non capisce…” le cose che le si dicono e neppure spesso quando le dicono Gesù e le visioni; Gemma invece “sente” ed il rapporto con le visioni è quello di “sentire” quasi come l’animarsi di un organo preternaturale (corsivo mio) dell’anima. Anche qui si rinnova la situazione di tensione, quella da una parte del non capire - che dava spesso agli astanti, che non la conoscevano nell’intimo, l’impressione di svagata e stupidella - e dall’altra l’eccezionale capacità di penetrare i misteri dell’anima e le verità della fede non “discorrendo” con la ragione elevata dalla fede, ma quasi “correndo” al mistero per un’apprensione immediata del fundus animae, illuminato dalla grazia» (cfr. ib., p. 216).
5. Gemma e il nome di Gesù
«Tutta immersa, come si trova, in fatti e comunicazione della più alta mistica, Gemma ne è completamente distaccata ed essa stessa, come sappiamo, attribuisce tutto al gioco della sua fantasia. Anzi - caso forse più unico che raro - chiede di essere liberata da tutto, anche da Gesù: “Se restasse a me la scelta, rimarrei così: senza Gesù, senza altri” (Lett. 29^, p. 84). Incredibile! non vuole attaccarsi alle “consolazioni” di Gesù: “Io non voglio da Gesù altro che Gesù” (Lett. 44^, p.125) .
Eppure la vita di Gemma è ormai tutta immersa in Gesù. E’ stato notato che il nome di Gesù nelle Estasi ricorre ben 1805 volte e nelle Lettere 2434 volte …un totale di 4239 volte, alle quali vanno aggiunte le invocazioni sparse negli altri scritti e soprattutto nelle Estasi che non sono state raccolte che sono forse la maggior parte. E si deve tener conto, inoltre, che le fortunate amanuensi facevano quel che potevano, anch’esse sbigottite di fronte a fenomeni così alti e misteriosi della loro eccezionale ospite. E questa insistenza del nome di Gesù opera anche sul lettore una dolce quasi attrazione e astrazione, crea come un clima di arcana pace ed improvvisa illuminazione (corsivo mio) in un “debole” slancio di consonanza - di piu’ non è lecito osare o sperare - con l’eccezionale creatura»[24].
6. Gemma: la testimonianza del soprannaturale e la sua missione nascosta nella Chiesa
«Questo sentimento della distanza nella vicinanza, dell’assenza nella presenza, della cocente impressione di indegnità nella donazione possessiva del Figlio di Dio alla sua anima…è l’atmosfera in cui Gemma vive e compie la sua missione nascosta nella Chiesa. Per questo la sua “testimonianza del soprannaturale” è una grazia singolare che lo Spirito Santo ha donato alla Chiesa di Cristo che sperimentava allora le negazioni radicali di Dio e di Cristo, da parte della prima cultura idealistica e poi materialistica, con cui il secolo XIX aveva portato a termine l’apostasìa da Dio e dal Cristianesimo. La sua esperienza è tutto splendori di grazia e sentimento di indegnità: “stamani ho fatto la Santa Comunione! O, Padre mio! Ho pregato mentalmente, ho pianto in silenzio…erano lacrime di riconoscenza e di felicità, Gesù, Gesù è sempre con me: c’è ancora. Ma possibile, Padre mio che Gesù voglia me, me, la più indegna di tutte le creature?» (ib., pp. 304 s.).
«L’esperienza dell’unione consumata e consumante con Cristo si fa sempre più bruciante come confessa ancora a P. Germano il 22 maggio 1901: “alle volte sono costretta dall’esclamare: dove sono, dove mi trovo? Chi è mai vicino a me? Senza nessun fuoco vicino, mi sento bruciare; senza nessuna catena addosso, a Gesù mi sento stretta e legata da cento fiamme, mi sento tutta struggere, che mi fanno vivere e mi fanno morire. Soffro, babbo mio, vivo e muoio continuamente”. Il desiderio divampa. “Mai non sto ferma: vorrei volare, vorrei parlare, e a tutti vorrei gridare: “Amate Gesù, solo, solo” »[25].
7. Filosofia e mistica
«Tutto è sconcertante nell’esistenza di Gemma: la coesistenza degli opposti nella sua vita e nei suoi pensieri mette a dura prova la logica ordinaria delle cose e gli stessi suoi sentimenti prendono le vie più impensate. Sembra che Iddio voglia davvero abituarci al “mondo capovolto” del verbum crucis di S. Paolo (1 Cor. 1, 18) »[26].
Con eccezionale penetrazione e coraggio, e forse pensando ad uno stato analogo in Kierkegaard, Fabro così osserva: «Solo la sua fede eroica l’ha sostenuta per non ribellarsi od impazzire. Ma insieme solo un amore sconfinato per Cristo, ch’è cresciuto proprio contro “i fenomeni” l’ha portata alla suprema purificazione».[27]
Se Fabro nella sua alta speculazione assicura Gemma da interpretazioni e letture minimistiche e/o devianti, Gemma ispira Fabro in un armonia di consonanza e di elevazione: «Questa insistenza del nome di Gesù, come abbiamo già accennato, opera anche sul lettore una dolce quasi attrazione e astrazione, crea come un clima di arcana pace ed improvvisa illuminazione in un “debole slancio” di consonanza e di più non è lecito osare o sperare con l’eccezionale creatura» (ib., p. 299 s.). Personalmente non nascondo il peso di una certa responsabilità nell’esposizione di queste riflessioni che ci svelano la risonanza interiore della spiritualità di Gemma nel pensiero di Fabro. Un’incertezza, direbbe Fabro “non dubitativa ma cautelativa”. Gradirei il conforto di altri che abbiano trattato questo aspetto di partecipazione e refusione della Grazia.
Ci aiuta forse una considerazione esistenziale. Seguiamo l’analisi fabriana: «Indubbiamente la Galgani fu “trascinata” dalla grazia e la sua situazione nella Chiesa è assolutamente speciale nel senso che il suo progetto di vita, al lume della ragione naturale, sembra mancare di ogni coerenza che non sia quella per noi frastornante, e lo fu anche per la mite creatura… della “regia via sanctae crucis”… Bisognerebbe tentare di ricostruire e ripetere la sua “situazione”: ma questo non è possibile senza “viverci dentro” cioè senza essere Gemma stessa per ripeterla a sé in noi. Ma chi oserebbe presumere tanto? Forse tutto ciò che il lettore e il credente può fare è di avvicinare un po’ la sua esperienza di Cristo crocifisso (corsivo mio), quale è consegnata nei suoi “scritti” cioè nei testi che sono le Lettere, le Estasi, l’Autobiografia, il Diario…Ma anche questi testi disorientano poiché non si tratta di scritti nel senso abituale, neppure in quello piu’ affine delle anime estatiche e stigmatizzate a lei piu’ sorelle. Sembra - anche se ciò in realtà non è esatto - che in essi manchi quel filo dottrinale che alimenta nei mistici la meditazione e la trasformazione interiore com’è evidente per esempio negli scritti della B. Angela da Foligno, in S. Caterina da Siena, nelle tre stelle dell’Ordine carmelitano S. Giovanni della Croce, S. Teresa di Gesù, S. Maria Maddalena de’ Pazzi e, piu’ vicina a noi, S. Teresa del B.G., (coetanea quasi di Gemma), la B. Elisabetta della SS. Trinità e lo stesso P. Pio da Pietrelcina…vicino a Gemma nei carismi e nell’itinerario della sofferenza.
Perciò, forse piu’ di tutti, Gemma si presta ad una considerazione esistenziale (corsivo mio): la sua vita è un intrecciarsi simultaneo e crescente di paradossi. Non solo lo stile del suo scrivere, ma soprattutto quello della sua vita, è un continuo passare dall’ingenuo al sublime e dal sereno alla tempesta e, piu’ che un “passare”, è un zampillare dall’identica sorgente misteriosa ch’è la sua partecipazione alla Croce di Cristo» (ib., p.170 s.).
IV. IL SOPRANNATURALE IN TEOLOGIA
1. Per una ri-scoperta teologica: Partecipazione e Refusione della Grazia
E’ noto a tutti lo studio appassionato e critico profuso da C. Fabro nei confronti di San Tommaso, non è questa la sede per parlare della novità metafisica[28] del tomismo illuminato e diffuso da Fabro, ma non si può non accennare alle novità raggiunte anche in teologia mediante la nozione di partecipazione all’ordine soprannaturale ch’è la divina Grazia[29]. Con arditezza speculativa San Tommaso dimostra che « le creature spirituali in quanto ri-create in esse gratiae possono essere principio attivo particolare della derivazione predicamentale dell’ esse gratiae Christi… Seguiamo ancora l’esposizione di Marcelo Sánchez Sorondo: “E’ per questo che l’Angelico in una delle sue ultime opere e certamente la piu’ delicata, introduce il tema del tutto originale della grazia quantum ad refusionem con il proposito di indicare la massima causalità seconda della Madonna nella derivazione predicamentale di tutte le grazie per tutti gli uomini” (ib.p. 246 s.).
Dopo la Madre di Dio: «Gli Apostoli, quale fondamento della Chiesa, ricevono in speciale abbondanza e pienezza (secundum suam conditionem; cfr. S. Th., III, q.7, a, 10, c.) il dono della grazia e così nella misura che partecipano di un modo speciale dell’ esse gratiae di Cristo sono causa di speciale derivazione di grazie agli uomini» (ib., p. 247, n.53) .
«Ma anche il giusto, anche i santi in quanto ri-creati (in esse gratiae), spiega genialmente San Tommaso, possono causare l’esse gratiae ad salutem multorum» (cfr. ib., p. 246). Fabro accetta ed esplicita l’intuizione dell’Angelico di una effettiva causalità nell’ordine soprannaturale, così se è valido in S. Tommaso che “homo Petrus generat hominem Paulum”, in modo analogo, per l’ultimo Aquinate, è ugualmente valido che “filius Dei per gratiam vel per participationem – Petrus generat filium Dei per gratiam – Paulum,” (ib., p. 248). Precisa ancora Sánchez: «Anche questa dottrina tomista, del passaggio per parte della forma della partecipazione all’esse all’effettiva causalità dell’esse, oggi del tutto trascurata (corsivo mio), sembra invece la piu’ decisiva per la verifica della validità superiore della speculazione dell’Angelico, nella sfida della cultura contemporanea. Tuttavia, ci sembrerebbe importante una ulteriore luce del p. Fabro a questo proposito, nel senso di chiarificare ancora come si salda lo iato tra la partecipazione all’essere e la causalità dell’esse per parte della stessa forma (ib., n. 55).
Ultimamente il P. Fabro ammette anche la dottrina della mutua refusione della grazia da parte dei giusti ricreati nell’esse gratiae di Cristo. La sua affermazione, molto piu’ esistenziale e bella e chiara di quella arida della nostra teologia speculativa, dice: “umiltà e fierezza, obbedienza e schiettezza - come S. Caterina da Siena - sono i caratteri del rapporto fra la Santa [Gemma] e il suo direttore spirituale, il quale, come egli stesso confessò, ebbe da Gemma l’impulso decisivo alla santità: nella vita dei Santi sono frequenti questi flussi e riflussi di grazia fra l’anima del penitente e quella del suo direttore»[30].
Nella sua teoresi Fabro sostiene che vi è in noi sia la partecipazione dello Esse che la partecipazione della Grazia. Se noi siamo in Lui come principio, Egli è in noi: “in Lui noi tutti viviamo, ci muoviamo e siamo” (Atti 17, 28), in una compresenza di contemporaneità esistenziale; se noi siamo dentro di Lui, Dio non è né resta fuori di noi.
Fabro quando scrive di Gemma, e mi perdoni se mi esprimo così, mi sembra che non riusca a trattenere queste considerazioni; fra le molte altre, sparse qua e là, leggiamo: «Nata per comunicare con Dio, Gemma ha il dono insolito di comunicare con gli uomini con uno stile semplice e profondo, con espressioni sobrie e colorite da grande scrittrice che sa addentrarsi, delicata e insieme sicura, nei misteri dell’uomo e di Dio. Sempre protagonista del contrasto di cui vive l’esistenza del cristiano e la libertà dell’uomo.
Alla difficoltà principale, nell’avvicinare questi scritti, costituita da parte del lettore (certamente per me) dalla mancanza dell’esperienza ch’essi riflettono, se ne aggiungono altre non meno stupende e stupefacenti, le quali, a modo loro (e in quale modo!) attirano lo stupefatto lettore nella luce affascinante del mistero del suo martirio. Prima di tutte la semplicità: lo stile di Gemma è delizioso: essa scrive di furia quasi a getto continuo e la realtà che vuole trasmettere - per alta e misteriosa che sia - Gemma la presenta viva al lettore come per una comunicazione di grazia»[31] Appunto questo vuole essere l’assunto di queste brevi riflessioni.
Fabro segue Gemma nei percorsi piu’ ardui della perfezione spirituale rivelandoci e disvelando ciò che normalmente è custodito e nascosto nei segreti delle anime, ed appartiene alla direzione spirituale. La bilateralità del rapporto disvela, almeno per squarci, le due anime. Ad un certo punto il maestro si fa discepolo e qualche ammissione, che non ha pubblicato negli studi su Gemma, l’ha affidata ad una missiva indirizzata alla Madre Giovanna, ove scrive: « Debbo confessare… ch’è sulle pagine di Gemma, dalle sue umili e commosse confessioni di anima innocente, che ho potuto anch’io arido ed incallito filosofo, sentire quale grande male non è il peccato per un’anima cristiana, e considero questo tra le piu’ grandi grazie avute dal Signore (corsivo mio)»[32].
In uno dei fogli rimasti fuori dalle pieghe della stampa, Fabro annota: «L’esperienza mistica fu di Gemma soltanto, ma al pio lettore è riservata l’esperienza dell’accettazione che forma e crea (vorremmo dire come hanno attestato il prof. giapponese ed il Card. Gasquet…e potrebbe dire altrettanto la schiera immensa dei suoi devoti), l’impressione (se non si vuole proprio chiamare esperienza) viva e chiara di presenza del soprannaturale. Questa esperienza ch’è in sé una singolare grazia di Dio per un’anima, può avere certamente altri veicoli: p.es. la prima comunione, la professione religiosa, l’ordinazione sacerdotale, la morte di una persona cara, l’assistere ad un singolare evento religioso ( p. es. un pellegrinaggio, la celebrazione della S. Messa, qualche funzione religiosa), il fervore di una confessione e di una comunione, la pratica dell’ora santa (tanto cara a Gemma) e della Via Crucis. In ultimo, ma è il primo perché è di esso che stiamo parlando, la conoscenza dell’esperienza di un Santo, soprattutto di un mistico e piu’ ancora come Gemma ripete in sé e nel suo corpo anche i segni e i fenomeni reali della Passione con la quale Cristo ci ha redenti dal peccato…Questi fenomeni straordinari, se da un lato (ed è giusto) sul piano teologico e giuridico vanno distinti dalle virtu’ praticate in grado eroico dal mistico e dallo stigmatizzato, dall’altro lato rendono quasi sperimentale anche per il pio lettore (corsivo mio), quando s’immerge senza remore nella luce di grazia che gli si comunica, la situazione che gli si apre davanti. Cioè anch’egli come credente vi partecipa, in qualche modo, moralmente e con stupore indicibile (anche se non è teologo, filosofo, psicologo o scrittore esperto delle complicazioni della vita…) » [33].
Di Gemma non si dirà mai abbastanza, così scrisse Fabro alle Religiose del Monastero di Lucca: «Ricevo regolarmente il bel Periodico che leggo subito con gioia e profitto spirituale. Di Gemma non si dirà mai abbastanza, i suoi esempi di dedizione alla Croce di Gesù e le sue umili, infuocate parole – per quel poco che conosciamo (perché visse abscondita cum Cristo in Deo) – sono trascinanti e commoventi. Spesso prendo in mano i due Volumi delle Lettere e degli Scritti, che passo in lettura anche ad altri, ed il mio pensiero corre a Lucca con un devoto ricordo per tutte voi ogni mattina all’Altare. Vi benedico tutte nel Signore» (In “Santa Gemma e il suo Santuario”, maggio 1982, p. 77).
Certamente nuovi orizzonti si dischiuderanno a chi avrà la sorte di sistemare l’archivio di Fabro e recuperare questi tasselli da cui ricostruire il mosaico del suo profilo inedito.
Suor Rosa Goglia
Appendice
(quasi un epilogo)
A M. Giovanna dell’Addolorata –Lucca
Roma, 7.IV.”90
A Rev. M. Giovanna,
l’ultima sua, così piena di carità, mi ha portato un grande conforto: il vostro ricordo al Signore è una luce potente che illumina questi miei ultimi passi dell’itinerario terreno. Iddio Vi ricompensi una ad una,
L’assicuro che il mio ricordo va spesso al Santuario- Convento di Porta Elisa e mi suscita dolci e potenti ricordi di grazie e benedizioni. Ricordo bene la Celebrazione della S. Messa in raccoglimento con Voi sull’altare della nostra dolce e “povera” Gemma, a cui ricorro ogni giorno: la sua celestiale immagine è sempre davanti a me sul tavolo di lavoro, un’altra (piu’ grande regalatami da Voi) sta sulla parte di fronte e mi guarda benigna con i suoi occhi profondi ed una terza infine è nella mia stanza da letto alla quale mando con fiducia, assieme al Crocifisso accanto, l’ultimo saluto del giorno. Ogni tanto prendo ancora in mano le sue Lettere e gli altri mirabili Scritti per sentirmela vicino e pregarla ad accompagnarmi e sostenermi nella “via regia Sanctae Crucis” ch’ Ella ha percorso tutta ardente d’amore. Anch’io, Madre Giovanna, posso dire col card. Gasquet (che cito all’inizio del libro) che Santa Gemma mi ha dato l’impressione piu’ potente “del soprannaturale” ovvero dell’esistenza del mondo della grazia, della Passione di Cristo e della necessità della sua partecipazione, della devozione alla Madre dei Dolori e della nostalgia della Patria celeste. Per questo ho chiesto e chiedo al Signore misericordioso, anche se i miei peccati mi fanno degno dell’inferno, di scamparmi dal Purgatorio e di non lasciarmi lontano da Lui, ma di purificarmi in questa vita con le sofferenze morali e fisiche ch’Egli, nella sua dolce Sapienza, crederà opportune ed efficaci. E le confesso umilmente che alle volte mi sembra abbia accolto questa mia domanda che affido umilmente anche a Voi.
Alle volte i miei ricordi si ravvivano piu’ del solito ed allora, specialmente nel raccoglimento del mio lavoro, la mia mente percorre con la fantasia i vostri luoghi: l’ampio e bel Santuario, l’altare con le spoglie della mite e dolce Creatura, attorniata dai sepolcri di P. Germano e dalla Madre Armellini…Poi la mia visita al V. Ritiro con le Consorelle al loro lavoro e poi al giardino, curato e fiorente come le vostre anime. Ed il ricordo si trasfigura in Gemma che dal Paradiso gode di questo ch’è il dono da Lei tanto sospirato nella sua brama di inabissarsi in “Gesù dolce, Gesù amore!”.
Seguo sempre, e attendo con gioia, la “voce” del Santa Gemma: il numero sulla visita del Santo Padre è stato eccellente (mi ringrazi i bravi Narducci), ma bisogna farla conoscere di piu’ questa grandissima anima e fedele discepolo di Cristo Crocifisso. Lo dica al P. Zoffoli, ch’è tanto eloquente e fervoroso.
Non so se già Le ho scritto che la mia “ultima” laureata di Perugia ha professato al Carmelo di Arezzo con il nome di suor Angela dell’Amore Crocifisso: ho potuto visitarla l’estate scorsa ed è felice. Anche (e soprattutto…) Lucca resta ancora nei miei desideri: ma gli anni sono molti ed il cuore ormai stanco e non regge ai viaggi. Lasciamo fare al Signore e mi raccomandi soprattutto con le sue Consorelle per l’ultimo viaggio d’incontro con il Signore.
Mi raccomando a tutte e Vi benedico tutte lasciandovi ai piedi della Croce di Gesù, nell’attesa della Risurrezione gloriosa.
dev.mo P. Fabro
P.S.- Ho visto che è stata fatta la ristampa del vol. su Santa Gemma. Ne sapete qualcosa?
[1] In C. Fabro, Gemma Galgani. Testimone del soprannaturale, CIPI, Roma, 1987, p. 142; il vol. sarà citato: Gemma Testimone.
[2] Ib., p. 141.
[3] Ib., pp.127-128.
[4] In Cornelio Fabro Breviario d’amore . Alla luce e all’ombra della Croce, Monastero Passioniste, Lucca 1999, pag. citate 276-277; in seguito il vol.sarà citato Breviario.
[5] «Kierkegaard chiama questo rifiuto positivo il “demoniaco”, il “ demoniaco post – cristiano” che attacca direttamente la divinità di Cristo e la verità cristiana; esso, spiega Fabro, introducendo La malattia mortale può negare o la umanità di Cristo (docetismo) o la sua divinità (razionalismo) dove il Cristianesimo è alla stregua di poesia o mitologia. Ed allora è soltanto col Cristianesimo nel rifiuto del paradosso essenziale dell’uomo-Dio, che l’uomo tocca l’abisso della disperazione e diventa preda del demoniaco - nella sua forma più acuta ch’è l’ostinazione.
Il satanismo non può sorgere che all’interno del Cristianesimo stesso, per via di un “agere contra” o di un “modo ponendo”» Cfr. Kierkegaard, Opere, trad. it. di C. Fabro, Introduzione a La malattia mortale, Sansoni, Firenze 1972, p. 615 s. Secondo Fabro la “Malattia mortale”di Kierkegaard è lo sforzo piu’ profondo, il tentativo piu’ profondo, il tentativo piu’ acuto di ristabilire la coscienza cristiana del peccato; il peccato come un positivo della libertà, una ribellione positiva che l’uomo fa di distaccarsi da Dio. Neanche nella letteratura cattolica vi è uno scritto simile.
[6] C. Fabro, Momenti dello Spirito, Assisi 1982, I vol., p. 205.
[7] C. Fabro, Momenti dello Spirito, cit., I vol. pp. 194 s.
[8] Gemma. Testimone, pp. 144-145.
[9] Ib., p. 62.
[10] Ib., p. 63.
[11] Diario, X 4 A 131, trad. it. di C. Fabro, n. 3425, t. VIII, Brescia 1982, III Ed., pp. 227 s.
[12] Gemma. Testimone, p. 63-66.
[13] Ib., p 73.
[14] Ib., Gemma. Testimone, pp. 75 s.
[15] Ib., Gemma. Testimone, pp. 71 s.
[16] Ib., Gemma. Testimone, p. 78.
[17] Ib., Gemma. Testimone, pp. 70 ss.
[18] Cfr. Momenti dello Spirito, cit., pp. 202 s.
[19] Gemma. Testimone, pp. 78 s.
[20] Cfr. ib., p. 37.
[21] Ib., pp. 289-293.
[22] Ib., p. 293 s.
[23] Ib., pp. 295 s. A questo riguardo mi sembra importante segnalare un parere convergente di Vittorino Andreoli: “Una diagnosi per la Santa” , in “Avvenire”, 31 dicembre 2002, p. 26. In una recensione al vol. Breviario d’amore, cit., Piero Vassallo così dice: «Perfino i preti e i medici cattolici, tenuti sotto schiaffo dalla scienza positiva, la umiliarono e la schernivano, sentenziando che le sue Stimmate e le sue estasi erano manifestazioni di isterismo…La sanità di Gemma è però idonea a confortare e riaccendere le anime anoressiche, che, nel crepuscolo del secolo insanguinato si aggirano fra le macerie dell’ideologia. Non a caso Padre Cornelio Fabro, il filosofo che esplorò con maggiore acume le desolazioni esistenziali dell’uomo moderno, ebbe per la Santa una speciale devozione, testimoniata dalla fatica sostenuta per studiare, ordinarne e commentarne gli scritti», in “Il Tempo”, 18.07.1999, p. 16.
[24] Ib., pp. 299 s.
[25] Ib., p. 307.
[26] Ib., p. 297.
[27] Ib., p. 288.
[28] E’ di imminente pubblicazione presso l’Editore Marsilio il mio Saggio La novità metafisica in Cornelio Fabro, con Nota biografica e Bibliografia degli Scritti.
[29] Attingo soprattutto al fondamentale studio, forse il primo, di Marcelo S¬ nchez Sorondo “La Gracia como participatiÌ n de la naturaleza divina segun Santo Tomás de Aquino”, Salamanca 1979. Per brevità attingo le citazioni di M. Sánchez Sorondo da “Partecipazione e Refusione della Grazia di Cristo” nel vol. AA.VV. Essere e Libertà. Scritti in onore di Cornelio Fabro, Maggioli 1984, nell’intento di far conoscere la consonanza su questi temi di fondo di un attento e fedele discepolo di C. Fabro. L’Autore “per la prima volta cerca di chiarire con metodo analitico-storico e sintetico-speculativo, la novità assoluta della considerazione che San Tommaso dedica all’originalità del soprannaturale” (ib., p. 226).
[30] S. Gemma e il suo Santuario, 48°, 8, Lucca 1980, p. 8; cfr. p. 248, nota 56 dello scritto Partecipazione e Refusione della Grazia di Cristo, cit.
[31] Ib., p. 171 ss.Dice G. Mucci:« Il volume del Fabro, tuttavia, non fa doppione con nessuna delle opere che l’hanno preceduto. Non è una biografia pur potendosi da esso ricostruire sia la meravigliosa fisionomia spirituale sia i larghi tratti della vita terrena di Gemma. Non è un’antologia degli scritti galganiani, nonostante che questi vi siano citati a profusione, storicamente contestualizzati e rivissuti e spiegati con una finezza esegetica, che tradisce un lungo amore e una riverente consuetudine di discepolo. Non è un commento edificante ad commotionem affectuum, sebbene riesca ad introdurre il lettore in un’atmosfera commossa e trascinatrice non mediante trucchi oratori, ma per la forza stessa dei testi e dei fatti fedelmente enumerati», in “La civiltà cattolica”, 3.09.1988, recensione al vol. di C. Fabro Gemma Galgani. Testimone del soprannaturale, 1987, cit.
[32] Lettera del 20 maggio 1991, in “S. Gemma e il suo Santuario”, luglio 1995, p. 23.
[33] Breviario, cit. p. 396. Madre Giovanna dell’Addolorata, passionista nella Lettera a me inviata del 28 luglio del 1999, dice a proposito: “P. Cornelio viene conosciuto meglio in quel lato della sua anima che forse non era noto piu’ di tanto anche a chi lo ammirava… Un lato dell’animo suo che conosceva le meraviglie dell’amore di Dio, le delicatezze a cui può giungere nel colmare una sua creatura di grazie, ma anche nelle esigenze con le quali ammaestra i “suoi”, perché divengano in Lui sempre piu’ figli” . Dello stesso avviso è il prof. Pier Franco Ventura che nel vol. Metaproblematiche del Diritto per una rianimazione etico-giuridica dell’esistenza” (Ed. Giuffré, Milano 1997, I vol.), stilando alcune riflessioni con riferimenti a varie opere di Fabro, osserva tra l’altro: «capii che c’era lì, nello scrittore di Gemma un nodo di cui vanno ricercati i molteplici legami…Questo volume contiene finissime analisi esistenziali del profondo …un’analisi esistenziale tutta ancora da scrutare nelle sue polivalenze ermeneutiche», (p. 391 s.).
Comments (0)