20 aprile: Anniversario ordinazione sacerdotale
Sommario: Vocazione sacerdotale
Durante una missione fattasi nel suo paese, Flumignano, quando Fabro aveva soltanto 11 anni, gli si consolida la vocazione religiosa già accarezzata da tempo. Il 27 ottobre 1922, saltando la quinta elementare, parte per la Scuola Apostolica Bertoni degli Stimmatini alla SS. Trinità di Verona. Il 1 novembre 1927 entra in noviziato. Pronuncia i voti religiosi il 2 novembre 1928 e la professione perpetua nel 1932.
La ordinazione sacerdotale avviene a Roma nel 1935, come si legge ne Il Bertoniano: «Il fatto più saliente, più interessante per la nostra cronaca avvenne il primo mese del periodo (aprile-giugno 1935), il giorno 20 aprile, sabato santo, con l’ordinazione sacerdotale (in S. Giovanni in Laterano) del nostro don Cornelio Fabro appartenente allora nuovamente di diritto e di fatto alla casa di S. Agata. Fatto che portò tanta gioia e festa a tutti specialmente ai compagni Studenti» (nº 3, 15 sett. 1935, 95). Per l’ordinazione era stata ottenuta la dispensa di cinque mesi dall’età canonica.
La prima Messa solenne la celebrò al paese solo il 29 giugno, festa dei SS. Pietro e Paolo, rivedendo per la prima volta il suo nativo Flumignano dopo tredici anni di assenza.
Durante tutta la sua vita di studioso, insegnante, scrittore vive il sacerdozio con nostalgia del ministero attivo, al quale, però dedicò tante ore del suo prezioso tempo. Scrive a una religiosa: “Devo ringraziarla in modo particolare dell’augurio che mi rivolge di farmi santo: io spero ch’Ella mi vorrà assistere con la sua preghiera a placare la divina giustizia che certamente dev’essere sdegnata con me per aver fatto così poco e cattivo uso di tante, quasi infinite grazie concessemi in questi 12 anni del mio sacerdozio. Chissà come me la passerò al tribunale di Dio: quando penso che il ven. Pallotti si chiamava “gran peccatore” e indicava se stesso come “un peccatore che brama convertirsi” mi vengono i brividi» (Lettere, nº 1308).
«Oggi -le scriveva il 24 agosto 1948- compio 37 anni, con 13 di sacerdozio, e mi pare di non aver fatto nulla per la s. Chiesa e per le anime: eppure sento un desiderio immenso di correre in loro aiuto. Magari potessi darmi al ministero attivo, e lasciare questi libri: non voglio per altro che la Santissima Volontà di Dio». Il p. Nello dalle Vedove, da testimonianza del amore di p. Fabro per il suo sacerdozio: “Posso dire del suo zelo apostolico in modo superlativo. Il suo confessionale, che era accanto al mio, lo vedevo sempre affollato di fedeli per tutta la mattina delle domeniche e feste. Alla ore 12 usciva per celebrare la S. Messa, con quelle famose omelie, che venivano ascoltate da una folla strabocchevole”.
Ma il suo principale apostolato sacerdotale fu sempre l’apostolato della verità. Ne da prova questa conferenza che vi proponiamo.
Il Sacerdote e il dialogo col mondo
Parole di augurio durante la cerimonia del 60o di Sacerdozio di Sua Em.za Rev.ma il Signor Cardinale Giuseppe Pizzardo, Vescovo di Albano e Prefetto della S. C. dei Seminari e delle Università, del 23 settembre 1963.
Eminenza Reverendissima, dopo le parole così calde ed alte dell’Eminentissimo Card. Provicario, che cosa resta ad un povero prete? Trattandosi però del 60° di Sacerdozio, quasi quasi, Eminenza, mi sembra che la parola, forse più adatta, appartenga proprio ad un umile Sacerdote, e sono grato al mio Direttore che con la sua insistente benevolenza abbia pensato che fosse un Sacerdote del Corpo Accademico ad esprimere al nostro Padre, al nostro Fondatore i sentimenti di questa bellissima e santa circostanza. Parlare del Sacerdote non è possibile se non sollevandoci a quel livello di assoluta spiritualità, diremo di perfetta rarefazione del finito, in cui l’uomo in qualche modo sente la sua vocazione fra le cose eterne che non passano nell’onda del tempo, e in questo senso mi sembra che celebrare l’augusto anniversario di un Sacerdozio sia come riportarci alla sorgente prima della vita dell’anima, a sentire questa trascendenza piena e continua che l’uomo trova nel rappresentante unico, vero, anche se talvolta indegno della religione e trova in lui come il punto di irradiazione per una speranza che non può fallire. E mi sembra che in questa circostanza ci siano tre pensieri fondamentali, pensieri che vengono in mente a noi Sacerdoti che non siamo ancora arrivati al 60° ma che già abbiamo superato il 25° ; ci vengono in mente questi pensieri come un rifugio da ciò che la vita alle volte ci fa patire e soffrire, perché possiamo vedere proprio attraverso l’educazione, in un medesimo tempo trascendente e trascendentale della Divina Provvidenza, quale è la vera missione del Sacerdote ministro di Dio.
Come primo punto mi sembra che lo scopo del Sacerdozio sia un dialogo col mondo, secondo punto un dialogo con la Chiesa, terzo punto un dialogo o ritorno a se stessi quasi dopo l’avventura della vita che ognuno intraprende con tutto il suo rischio.
Nel dialogo col mondo, il sacerdote si trova di fronte al problema della verità che salva. L’uomo è fatto per la verità, lo si dice, ma la verità diventa poliforme, varia, si articola cioè secondo tutto il complesso delle forze che operano in una coscienza, in una civiltà, in una cultura; la verità si colora di tutti i colori degli orizzonti di questa civiltà che avanza.
Noi infatti in questo dopoguerra abbiamo visto come questa civiltà si sia articolata e trasformata, dando le vertigini come prima non ha mai dato. Il problema di Dio, il problema della salvezza della vita umana e sotto certi aspetti la situazione di questo problema sembra paralizzante, sembra in qualche modo talmente incombente che l’uomo non trova uno spiraglio di luce per potersi orientare. Mai come in questo momento le vie del pensiero, della cultura, della tecnica, hanno dato all’uomo la possibilità di esprimersi, di captare le forze dello spirito e dell’universo ed in qualche modo di strutturare l’itinerario e l’esito del proprio destino; eppure, e Vostra Eminenza lo sa attraverso le responsabilità che Iddio e i Sommi Pontefici Le hanno affidato, eppure mai come oggi l’uomo sente il pericolo essenziale, avverte la contingenza del proprio essere, si accorge che c’è qualche cosa che non l’insidia più dall’esterno ma che lo ha raggiunto nell’intimo, che ne ha scorto il segreto che sembrava più impenetrabile e gli ha dato un senso di insicurezza radicale. L’uomo ormai non può più vantarsi, come si vantava ai tempi dei nostri studi, di una sicurezza nella vita della cultura e nella realtà sociale esteriore, l’uomo oggi è circondato da pericoli che egli ha costruito con la superbia della propria intelligenza, quella superbia che ad un certo momento si è trovata fonte di umiltà; mai nella storia dell’umanità come in questo momento, gli uomini hanno cominciato a guardarsi con un occhio che forse non è ancora chiaramente fraterno ma che accenna ad un senso di simpatia, di commiserazione, di qualche cosa che potrà certamente trasformarsi, per l’apertura dei cuori e delle menti, se non in una pacificazione universale, almeno in una convivenza veramente umana e libera.
Il dialogo del sacerdote col mondo, è, dicevamo, il dialogo della verità che salva; il mondo molto aspetta oggi dal sacerdote, e Vostra Eminenza, nei sessanta attivi, diciamo insonni, anni di sacerdozio ne ha come un panorama quale nessuno di noi può certamente ancora rivendicare. Quanti eventi, quante mutazioni storiche di governi, di istituzioni, di forme di cultura, di crisi anche dentro la nostra Italia sono passati attraverso il Suo occhio vigile, hanno toccato il Suo cuore pronto, hanno stimolato la Sua mente attenta!
Questo colloquio col mondo è una delle funzioni costitutive del sacerdozio; il sacerdote ama il nascondimento, sguscia attraverso le strade portando la carità ai bisognosi, si chiude nei confessionali per sentire il tormento dei cuori, sale sulle tribune della verità per aprire le menti a questa verità che può dare ancora all’uomo un motivo di salvezza. Il sacerdote che di solito è lasciato ai margini della società, il sacerdote che è guardato come una rara eccezione o addirittura, alle volte, è compatito e sopportato, il sacerdote appare alla gente del mondo come un qualche cosa che costituisce un giudizio in atto, ed un giudizio dato in una forma così discreta, così appartata e umile che non ammette ritrosia. Questa è la piena grandezza del sacerdozio, portare cioè la verità di Cristo alle anime, sentire che il mondo è, sì, il Cosmos nel senso greco, come l’assemblea degli esseri e lo svolgersi delle loro leggi e bellezze, ma il Cosmos è anche quello di cui il Signore nel Vangelo di S. Giovanni ci parla che Dio non ha amato il mondo. Ma c’è anche un Cosmos interiore, quel Cosmos delle anime di cui parla S. Agostino, cioè coloro che oggi sono peccatori ed infedeli, domani possono diventare pecorelle del gregge di Cristo; c’è questo mistero di libertà ed il dialogo del sacerdote col mondo è soprattutto un dialogo di libertà; è un dono di questa libertà.
Permetta, Eminenza, che accenni anche ad un aspetto un po' più complesso, ma mi sembra anche più semplice e che forse ancora non è riuscito in piena chiarezza almeno nella mia povera mente. Dopo aver considerato questo aspetto del progresso culturale c’è ancora un altro aspetto nel dialogo del sacerdote col mondo, di quel mondo di cui Vostra Eminenza è stato così ardente fautore, ed è lo scardinamento, diremo l’assenza attiva, che la filosofia moderna ha prodotto del problema di Dio, del problema del Sacro, cioè di qualsiasi valore eterno al quale l’uomo si potesse aggrappare per una speranza di vita. La filosofia moderna ha deciso, dopo queste ultime due guerre, di togliere ogni equivoco e si è fermata nella sua vera essenza di rivendicare all’uomo il potere di decidere del suo destino. Se veramente è l’uomo, se è la sua coscienza, se è il suo pensare ciò che dà alla realtà la sua fisionomia, ai principi il loro vero senso, allora tutto ciò che l’uomo configura, lo configura traendolo dalle virtualità, muovendosi dalle possibilità giacenti nel suo essere ed allora alla fine l’uomo deve affermare che tutto ciò che si deve operare, ciò che si deve produrre nella vita pubblica e privata deve configurarsi ed adattarsi al metro dell’essere umano. È ciò che affermano le filosofie contemporanee, quelle filosofie di cui troviamo continui documenti nella stampa quotidiana, settimanale o culturale, cioè che ormai parlare di Dio, di trascendente, di immortalità non ha senso al di là di quello che è il giudizio storico che gli eventi stessi si incaricano di dare.
Quindi ciascun uomo deve abbandonarsi a questo ritmo della storia, inerme e sconfitto di fronte ai suoi risultati. Sembra quindi il completo fallimento dell’essere umano, e queste filosofie moderne confessano apertamente questa soluzione, cioè che l’uomo in quanto tale non può pretendere di dare universali, di realizzare totalità, quando egli è semplice parte e momento transitorio di un tempo che egli non può contenere.
Ci sembra, Eminenza, che questa specie di ateismo che si dilatata in tutto il mondo non sia che un segreto richiamo e quasi un appello più essenziale, come finora non è stato, della presenza di Dio nel mondo, perché quando si avvertirà che solo in una famiglia umana gli uomini si possono intendere, si sentirà che questa famiglia deve avere un padre, ed il Padre nostro è unico: Dio nei Cieli.
Secondo e breve pensiero, Eminenza, è rispetto al suo apostolato eccezionale di verità; non ho la ventura di aver seguito Sua Eminenza nel suo straordinario curriculum, ricordo che da giovane studente sentivo parlare delle sue attività alla Segreteria di Stato; ricordo ancora le documentazioni fotografiche del Concordato in cui anche Vostra Eminenza appare, ed a me sembrava una persona così grande, posta così in alto dagli eventi e quasi stupefatto pensavo a quella che deve essere la missione di un uomo, di un sacerdote, quando è chiamato a queste responsabilità dalle quali dipende la pace, l’armonia ed il conforto di un popolo intero.
Secondo dialogo quindi del sacerdote è con la Chiesa; che cosa può dire un povero sacerdote e un più povero professore di filosofia di una vita come quella di Vs. Eminenza, passata nei più alti incarichi vicino a cinque Pontefici, in collaborazione attiva? Quanti avvenimenti, quante crisi, di fronte allo sguardo di un Principe della Chiesa che è chiamato a collaborare nel modo più responsabile col Vicario di Cristo!
Io penso che forse nel mondo tra i sussulti, le gioie, le responsabilità certamente avrà il premio che spetta ad un Santo Principe della Chiesa di Dio. Ma quello che a noi tocca oggi, e vorremmo umilmente esprimere, è l’aspetto, non vorrei dire paradossale, ma l’aspetto di sorprendente gioia che la Sua vita ci infonde e ci dà. Ma non penso, Eminenza, che Lei mi rimprovererà se dirò che, pur non essendo proprio uno studioso di carriera, Vs. Eminenza ha dedicato, ha messo a disposizione delle istituzioni di studi superiori la parte migliore della sua mente e del suo cuore.
Qui le nostre brave Signorine Missionarie della scuola mi hanno fatto un elenco delle varie istituzioni che Ella ha fondato, diretto ed alimentato con la sua generosità! In questa opera, rimasta così nascosta, due sono gli aspetti che meritano un po' di riflessione! Il primo è l’amore sconfinato di Vs. Eminenza per i seminari e per i seminaristi. Quante volte nei contatti con Vs. Eminenza, Ella mi intratteneva sulle difficoltà dei seminaristi italiani, mi diceva della necessità di aiutare questi seminaristi poveri e si sentiva nelle parole di Vs. Eminenza un affetto paterno; Lei è stato il «mendico e il Padre del sacerdozio italiano». Quante lettere, quante firme, quante petizioni e forse quanti sconforti, Eminenza, quanti dolori..., quanta parte di queste petizioni tornavano soltanto con buone parole.
Il secondo aspetto è l’istruzione universitaria. Anche nella vita universitaria si è operata una trasformazione, l’Università oggi non è più quell’ambiente segregato a cui arrivavano solo elementi dell'alta borghesia. Oggi l’Università è aperta; questa dilatazione dell’istituto universitario ha portato con sé la trasformazione della coscienza comune, porta con sé una specie di ripresentazione degli ideali umani, insieme ad una frammentazione delle zone della cultura, ed insieme a qualche cosa che, mentre disperde questa coscienza, la richiama ad un ideale di sintesi, ad un interrogativo che l'alta cultura è chiamata a dare.
In questo dialogo del sacerdote con la cultura, il compito sembra molto ristretto, e per questo la Chiesa fa appello ai laici, li vuole suoi collaboratori, vuole che i suoi figli non siano al rimorchio della cultura, ma che aspirino con generosità di proposito ed apertura di mente ai posti più alti, ed è per questo che la Chiesa assiste, promuove istituti universitari precisamente perché i cattolici possano gareggiare, competere onorevolmente con qualsiasi istituzione. Questo ideale di alta cultura si sta ancora formando. Forse ancora non abbiamo raggiunto almeno in Italia, quella persuasione ferma che senza un’istituzione universitaria della coscienza cristiana difficilmente potremmo competere contro gli errori della politica, dell’economia, dell’educazione, e di quanto alimenta il laicismo operante nelle strutture principali della vita nazionale. Altre nazioni più piccole sono certamente più progredite dell’Italia, ma per questo a Vs. Eminenza compete una gioia incomparabile, di avere speso gli anni più fulgidi della sua vita, quando il Santo Padre lo aveva chiamato alle più alte responsabilità, di aver pensato soprattutto a questa istituzione universitaria e di aver chiamato le stesse religiose con le migliaia di figliole da loro educate in un Istituto, ch’è il nostro, perché desse loro con la piena garanzia morale e la sicurezza dello spirito anche la pienezza dell’istruzione superiore. Quindi possiamo dire che questo dialogo del sacerdote con la cultura è un dovere ed è un conforto; è un dovere perché la verità che dall’inizio del mondo attinge ogni essere, ne stabilisce le leggi, scuote ogni cuore e guida la storia, è giusto che questa verità si affermi nelle coscienze e ciascuno apra quel consenso del cuore perché essa diventi vita operante.
A questo dialogo del sacerdote con la cultura, si è intromesso, Eminenza, il dialogo di fronte alla Sua onorata persona, di noi con noi stessi in questa circostanza di gioia così eccezionale. Noi siamo il frutto del suo amore e del suo sacrificio, il nostro Istituto, e mi piace considerarlo il frutto più alto del suo zelo apostolico, la creatura prediletta; chi ha potuto un po' frequentare e godere la paterna benevolenza di Vs. Eminenza, come chi ora le parla quando era il diretto suo collaboratore, sa le preoccupazioni, le ansie, gli accorgimenti, i piani per poterlo sostenere, per poter garantire un corpo docente che potesse competere con qualsiasi Università italiana, come ora fa e come certamente continuerà. Così pure può attestare la gioia, la soddisfazione, direi quasi il sorriso che sorgeva dal Suo cuore quando sentiva i successi delle nostre alunne tutte brave, Eminenza, che hanno fatto onore al nostro Istituto. Quasi si aveva l'impressione che parlandoLe dell’andamento dell’Istituto Lei riprendesse vita, si aprisse a un sorriso completo, senza ombre, e noi le promettiamo che questo sorriso per quanto dipenda da noi non potrà che accrescersi.
Vorrei concludere con un pensiero umile come ho detto fin da principio: la vita umana è per tutti un mistero e noi sacerdoti siamo i più presenti, i più vicini, e forse i testimoni più sofferenti di questo mistero. Noi ne ascoltiamo i primi vagiti, accompagniamo l'uomo nelle crisi e nei pericoli della vita, ne ascoltiamo le speranze e soprattutto ne ascoltiamo le delusioni, la disperazione, il rimpianto, tutto ciò che la vita serba all’uomo di amaro attraverso le crisi interne e le crisi esterne, attraverso il tradimento degli amici e attraverso gli assalti dei nemici da ogni parte. E per varia che possa essere la civiltà, per complessa che possa essere la disponibilità dei mezzi della vita umana, pure ci sono dei dolori fondamentali che nessuna tecnica e nessuna filosofia cabalistica potrà mai eliminare, ed è questo tormento interiore, quella ferita continua delle cose finite, quella incertezza di cui ognuno è principio a se stesso, quella aspirazione insaziata, quella luce che sorge e mai arriva a splendere completamente, quell’amore che ci attira e guida in certi itinerari e poi sembra che discenda nell’abisso come un fiume attraverso caverne. Questa è la missione del sacerdote, di tenere accesa questa fiamma. Vs. Eminenza l’ha tenuta accesa per sessanta anni; di questa fiamma, gran parte, direi l’apice è il nostro Istituto, e per questo, Eminenza, ci permetta che questo nostro Istituto sia da noi considerato come la Sua pupilla, anche se, come sono spesso le creature più care, certamente esso è stato la Sua croce.
L’ansia di dare alla Scuola Cattolica un personale docente all’altezza dei tempi, preparato a svolgere la sua missione nell'armonia della ragione e della Fede, ci trova qui oggi tutti uniti e festanti in questa celebrazione e desideriamo che essa sia un conforto per il nostro Padre e per ciascuno di noi un ricordo indelebile, come una sembianza interiore che resti in memoria cordis fra le cose più care.
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